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Conseguenze del bilinguismo sullo sviluppo del linguaggio

Bilinguismo e sviluppo linguistico e cognitivo: miti e realtà

di Stefania Feriti docente di scuola primaria presso Little England Scuola Primaria Bilingue

Conseguenze del bilinguismo sullo sviluppo del linguaggio

Nella storia generale dell’educazione, forse nessun’altra questione scolastica ha fatto scaturire così tante polemiche e ha dato origine a così tante indagini scientifiche quanto l’apprendimento e l’uso di più di una lingua nella scolarizzazione del bambino. L’uso simultaneo di due codici linguistici è sempre stato considerato una forte potenziale fonte di interferenza nella formazione del bambino; tuttavia studi recenti hanno dimostrato come molto spesso le critiche mosse ai modelli di educazione bilingue si siano spesso rivelate prive di fondamento.

bilinguismo

Quando si parla di sviluppo del linguaggio nei bambini bilingui, ci si concentra in particolare su tre punti:

  • un presunto ritardo nello sviluppo linguistico;
  • il mix di codice (come possibile segno di confusione);
  • lo sbilanciamento dei risultati, che non permette ai bilingui di riuscire equamente bene in entrambe le lingue.

Genesee ha dimostrato che bilingui e monolingui raggiungono approssimativamente nello stesso momento le cosiddette pietre miliari dell’acquisizione linguistica, tenendo in considerazione che, indipendentemente dal fatto di essere mono- o bi-lingue, i bambini in generale riescono a conquistare questi punti fermi in età differenti. In ogni caso, verso i cinque anni, entrambe i gruppi si sono dimostrati in grado di comunicare in maniera abbastanza corretta. Molti educatori pensano ancora oggi che la L2 non possa che ostacolare l’acquisizione della L1 e l’apprendimento in generale, perché viene considerata una possibile fonte di interferenza. Ma le più recenti ricerche in questo campo hanno messo in evidenza esattamente il contrario, e cioè che l’utilizzazione formale della L1 in concomitanza con la L2 non solo porta ad un miglioramento notevole delle abilità cognitive del bambino, ma anche, e soprattutto, ad una facilità superiore nell’apprendere tanto la L1 quanto la L2. L’apprendimento formale di un codice linguistico, infatti, costituisce una potenziale fonte di competenza linguistica generalizzabile, che il bambino può applicare all’apprendimento di un codice linguistico in cui ha scarsa competenza linguistica e/o grammaticale.

Pur essendo corretto affermare che i bambini bilingui possiedono un vocabolario minore in entrambe le lingue, se comparati ai loro compagni monolingui, è altrettanto vero che se uniamo i vocaboli conosciuti dai bambini in entrambe le lingue otterremo un’ampiezza di vocabolario maggiore rispetto agli altri. È così da sfatare il mito dello spazio neurologico (ben presentato da Danesi), che nella prima metà di questo secolo sosteneva l’esistenza di uno spazio limitato nel cervello per il linguaggio. Questo aveva portato a pensare che la presenza della L2 nel cervello del bambino non potesse che costituire un ostacolo neurologico allo sviluppo della L1. Tuttavia, dai risultati emersi dalle ricerche sull’organizzazione del linguaggio nel bambino bilingue, è diventato ovvio che tale nozione è priva di fondatezza. Al contrario, si è dimostrato come la presenza di due codici verbali nel cervello porti ad un “arricchimento cerebrale”:

– l’organizzazione del linguaggio nel cervello di un bilingue sembra essere più bilaterale rispetto all’organizzazione cerebrale del cervello monolingue;

– l’emisfero destro svolge un ruolo molto più importane nella rappresentazione cerebrale dei due codici;

– la dominanza cerebrale nell’individuo bilingue tende ad essere meno rigida di quella presente nell’individuo monolingue.

Tali affermazioni suggeriscono che se è pur vero che i bambini bilingui sono all’inizio leggermente più lenti rispetto ai compagni nella ricerca di una parola dal proprio lessico mentale, non bisogna dimenticare che questa è solo una fase di passaggio, che avviene perché i bambini bilingui devono scegliere tra due lingue e non pescare solo da una. I due codici del bilingue sono infatti complementari e cooperativi nell’elaborare l’input verbale, attivando più regioni cerebrali e arricchendo in questo modo col tempo le capacità neuro-funzionali della persona bilingue.

Queste osservazioni rispondono anche alle critiche riguardanti la confusione dovuta al mix di codice (o alternanza di codice), contro le quali lo stesso Genesee ha dimostrato come fin dall’inizio i bambini bilingui siano in grado di sviluppare due sistemi linguistici autonomi, che interagiscono a livello fonologico e sintattico. In base all’interlocutore e alla situazione in cui si trovano, i bambini fanno scelte linguistiche: pensiamo ad esempio ai figli di genitori che parlano due lingue diverse e che si rivolgono all’uno o all’altra utilizzando la lingua di comunicazione più veloce; in questo caso alternanza di codice e mix di codice possono quindi essere una scelta conscia. Proprio perché certi ambiti della vita dei bilingui sono collegati all’uso di una sola lingua, molti bilingui in quei particolari ambiti semplicemente non dispongono degli equivalenti traduttivi, in particolare se si tratta di concetti nuovi. Questo però non impedisce una comunicazione fluente e corretta.

I critici all’educazione bilingue lamentavano infine lo sbilanciamento dei risultati, vale a dire il fatto che i bambini dimostrassero competenze inferiori in una lingua piuttosto che nell’altra. Ora, in base alla quantità e alla qualità dell’input, al tempo di esposizione all’una o all’altra lingua, e agli ambiti in cui le due lingue vengono usate, è indiscutibile che i bambini siano più competenti in una delle due lingue: in altre parole non si può negare che i parlanti bilingui abbiano una lingua dominante e una non-dominante. Il bilingue completamente bilanciato, in grado di avere risultati equamente perfetti in entrambe le lingue, è un fenomeno molto raro. È tuttavia interessante notare come questa dominanza linguistica sembra essere soggetta a continui cambiamenti nel corso del tempo, causati prevalentemente dalla quantità e dalla qualità della pratica linguistica. Alcuni studiosi attribuiscono la dominanza a fattori soggettivi (indagabili attraverso l’introspezione e collegati agli atteggiamenti del parlante riguardo alle varie lingue), mentre secondo altri essa dipende da fattori oggettivi, soprattutto funzionali. Riporto in merito un’esperienza personale: nella scuola dove ho fatto tirocinio ho parlato spesso con un insegnante canadese, con madre francese e padre inglese, che ha viaggiato molto. Ha vissuto in Canada per alcuni anni, poi la famiglia si è trasferita nel Regno Unito, lui ha lavorato in Kenya per diverso tempo e infine si è trasferito in Francia per studiare all’Università di Tolosa. Alla mia domanda su quale fosse per lui la lingua dominante, egli mi ha risposto che in questo momento è il francese, ma solo perché ultimamente ha vissuto in Francia per un lungo periodo. “Se me l’avessi chiesto dieci anni fa, ti avrei probabilmente risposto l’inglese”, ha poi concluso. Questo esempio conferma quanto sopra indicato, e cioè che la dominanza linguistica per un bilingue non è una cosa fissa e determinata, ma che cambia in base alle situazioni che vive nel corso degli anni.

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